(di Davide Oldrati) Nel quadro della Guerra della Prima Coalizione e dopo le paci di Basilea del 1795, che avevano sancito l’uscita dal conflitto di Prussia e Spagna, la Francia si apprestava ad entrare in territorio italiano per affrontare gli austro-tedeschi che premevano da est. Alla vigilia dell’invasione, la situazione finanziaria dei Banchi pontifici (il Sacro Monte di Pietà e il Banco di Santo Spirito) era già da tempo compromessa e prossima al collasso. La crisi di liquidità dei due Banchi pubblici era in larga parte determinata da crediti inesigibili verso lo Stato Pontificio che, al 1797, aveva con essi un debito di 11.693.671,84 scudi, la maggior parte dei quali a carico della Camera Apostolica.
È certo però che l’impatto dell’occupazione francese e delle conseguenti spoliazioni fece crollare il sistema.
L’astuzia di Napoleone non mancò di individuare nella criticità delle finanze pontificie un’arma a suo vantaggio per la facile conquista dell’Italia centrale. Nella primavera del 1796, l’Armata d’Italia invase lo Stato Pontificio, occupò Bologna e Ferrara, sedi delle Legazioni più ricche del territorio ecclesiastico e, con la firma del Trattato di Bologna del 23 giugno 1796, ne ottenne il governo, oltre al libero passaggio in tutto lo Stato e una guarnigione stabile in Ancona; inoltre veniva imposto al Pontefice di consegnare alla Repubblica francese 100 opere d’arte e 21.000.000 lire tornesi, pari a circa 4.000.000 scudi romani[3]. Il Direttorio parigino aveva inviato al seguito dell’Armata napoleonica una Commissione di esperti, uomini d’arte e di scienza, con il compito di selezionare il meglio della produzione artistica italiana da inviare in Francia come bottino di guerra, secondo l’idea per cui il frutto universale dell’ingegno umano meritasse di essere posseduto e goduto esclusivamente dal popolo francese in quanto illuminato dalla Ragione… (Segue)

Questo articolo verrà pubblicato interamente su”AIC Magazine” Anno VI – N.11.

 

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