(di Livia Faggioni) La storia della forma rappresenta la spina dorsale della tecnologia della carta in senso storico, poiché la scelta e la preparazione della materia prima, come la qualità e l’aspetto del prodotto finito sono strettamente commessi alla forma.

* Il “lavorente” in piedi con lo stomaco che poggia contro il tino, ha la forma davanti a sé che giace sul piano di scorrimento. Mette il coscio sulla forma, iniziando da uno degli angoli vicini, di solito quello di sinistra. […] Dopo aver messo il coscio sulla forma il “lavorente” li stringe forte insieme con le mani sui lati corti, preme con i pollici sul coscio e con le altre dita sulla for­ma, facendo questi gesti con fermezza, in modo tale che il coscio racchiuda solidamente il bordo superiore del telaio della forma e la sua tela metallica. Poi solleva insieme forma e coscio e li immerge nella poltiglia (impasto) nel tino. […] Due sono i modi di immersione: il primo potrebbe essere chiamato ad “immersione parziale”. Piegato sopra il bordo del tino il “lavorente” sten­de le braccia e abbassa la forma più o meno verticalmente immergendola nell’impasto, fermandosi quando la forma è immersa per circa un terzo o a metà della superficie.

Il “lavorente” la tira verso di sé e la solleva lentamente in posizione orizzontale, proprio sopra la superficie, coprendo così la forma con l’impasto.

Contemporaneamente l’acqua comincia a drenare attraverso la tela metallica. Il deflusso dell’acqua dall’impasto che è sulla superfìcie del­la forma, deve avvenire in uno spazio di tempo da permettere al “lavorente” […] di scuotere la forma da sinistra verso destra, ripetendo il gesto in modo inverso, così, “chiudendo il foglio”prima che l’impasto si stabilizzi sulla su­perficie della forma [processo detto feltrazione]. Tutto ciò deve avvenire nel giro di secondi, durante i quali il “lavorente” determina l’esatta grammatura del foglio e fa saldare tra loro le fibre […].

Il secondo metodo consiste in un’immersione quasi orizzontale per cui la for­ma è completamente riempita d’acqua e fibre, e poi, sollevata sempre oriz­zontalmente. Ciò causa un vuoto d’aria parziale sotto la tela che accelera il deflusso dell’acqua, lasciando al “lavorente” minor tempo per determinare la grammatura del foglio e “chiuderlo” adeguatamente.

Avendo terminato l’immersione, il “lavorente”pone la forma e il cascio sul bordo del tino (normalmente il bordo sinistro) facendoli oscillare con legge­re inclinazioni per facilitare il deflusso dell’acqua. Poi toglie il cascio dalla forma, lo trattiene e la forma viene fatta avanzare lungo un piano di scorri­mento fino al “ponitore”. Questo membro del gruppo di lavoro al tino, mette la forma – con le costole [colonnetti] in posizione verticale – contro il poggia forme? cercando la corretta inclinazione.

Il “ponitore” stringe la forma […] la fa oscillare leggermente da un capo all’altro e afferra il lato lungo in basso con la destra, poi sposta la mano sinistra verso l’altro lato lungo della forma capovolgendola. Ora preme […] e in questo modo trasferisce il foglio bagna­to sul feltro.Fatto ciò, restituisce la forma vuota facendola scivolare lungo il piano di scorrimento fino all’altezza del “lavorente” che nel frattempo sta immergendo l’altra forma.

La forma o modulo è, pertanto, lo strumento indispensabile al lavorente per la produzione di un foglio di carta a mano. Tre sono i componenti fondamentali: telaio, tela e cascio. La tela metallica è fissata al telaio in legno ed è sormontata da una “cornice”, anch’essa in legno, detta cascio.

Lato lungo, lato corto e profondità del telaio rettangolare sono variabili e ad esso sono applicati i colonnetti – entrambi di legno douglas o cirmolo (pino cem­bro), duri (per evitare che si deformino) e resistenti all’acqua – listelli a sezione conica su cui sono realizzati dei fori, attraverso i quali passa il filo d’acciaio ne­cessario a legare la tela al telaio.

A copertura della parte superiore del telaio, la piastratura, lastra d’ottone di 2/3 decimi di spessore fissata con chiodi di rame o ottone. A protezione della parte inferiore del telaio, per evitare la scheggiatura di esso e quindi la dispersione delle schegge nell’impasto, il sottotelaio o regoli (listelli di legno o plastica fissati al telaio con chiodi di rame o ottone) necessario, non appena il foglio si è creato sulla superfice di lavorazione della forma, allo scorrimento di essa sulla tavola di legno poggiata ai due estremi del tino per fa­cilitare il passaggio tra il lavorente ed il ponitore.

Il cascio o casso, di forma ret­tangolare, delimita la superfice di lavoro, componente non fisso, ma appoggiato sul perimetro del telaio per consentire il contenimento dell’impasto e delimitare le dimensioni del foglio.

Due sono le tipologie di tela metallica: vergata o velina.

La prima è composta da verghe o vergelle, cioè fili metallici di diametri vari in bronzo fosforoso o ottone, fìssati sul telaio con chiodi di rame o ottone, distan­ziati alcuni millimetri tra loro ed intrecciati con altri fili metallici detti catenelle o filoni o trecciole, necessari a legare, attraverso i fori dei colonnetti, la tela al telaio. La distanza tra le catenelle è detta portata, che con il numero delle ver­gelle ogni 2 cm, rappresentano le due unità di misura usate come metodo di mi­surazione e confronto tra forme vergate. Sulla carta, le verghe o vergelle lasciano un’impronta ben visibile in trasparenza: da qui il nome, carta vergata.

La seconda è una tela tessuta in bronzo fosforoso o ottone, sottile e flessibile, realizzata tramite un intreccio di fili perpendicolari detti ordito, ossia l’insieme dei fili tesi sul telaio, e trama, unico filo che percorre da una parte all’altra l’or- dito. Entrambi questi elementi suggerisco uno specifico metodo di misurazione: fili in trama al cm e fili in ordito al cm, cioè il numero dei fili della trama e dell’ordito che compongono il tessuto in 1 cm2. Una forma velina è generalmente composta da una serie di strati di tele, cuciti tra loro attraverso un filo finissimo di acciaio: una tela velina (tela più superficiale), una sottotela di rinforzo (secon­do strato), un teloncino forato (terzo strato), una tela di fondo (quarto ed ultimo strato). A differenza della tela vergata, sulla carta in controluce, non si osserva più l’impronta della vergatura, ma si nota una speratura, come se fosse un vetro smerigliato: carta velina.

Grazie alle particolari caratteristiche, risulta, pertanto, immediata la di­stinzione tra una forma vergata ed una forma velina. Spesso ad arricchirle, un “segno” o “marca” rappresentante un oggetto, un simbolo, un personaggio, una lettera, una dicitura o una combinazione di questi elementi: la filigrana. Ne esistono varie tipologie: in chiaro riportata, in chiaro punzonata, in scuro punzo­nata, in chiaroscuro punzonata, in scuro punzonata con chiaro riportato.

La filigrana in chiaro riportata è realizzata con filo metallico di argentana, rame o bronzo modellato a mano con utensili da orafo, oppure in rame tramite il processo elettrochimico di galvanoplastica (per la riproduzione di filigrane in serie). La filigrana, cucita a mano o saldata a stagno sulla tela vergata o velina,produce un rilievo sulla superfice di lavorazione della forma.

Le filigrane in chiaro punzonata, in scuro punzonata ed in chiaroscuro pun­zonata, invece, sono impresse sulla tela. L’impressione è prodotta tramite l’uso di un punzone di legno o metallo per trasferire l’immagine a “sbalzo” sulla tela. Questa tecnica è impiegata esclusivamente sulla tela velina, molto sottile e fles­sibile, rispetto alla rigidezza della tela vergata.

Al momento della feltrazione, ove sulla tela si presenta un rilievo, si deposi­ta meno impasto, creando così sulla carta, vista in controluce, un effetto “in chia­ro”, filigrana in chiaro punzonata (o filigrana in chiaro riportata se realizzata con filo metallico); ove, invece, si presenta un bassorilievo (una cavità) si deposita maggiore impasto, creando sulla carta un effetto “in scuro”, filigrana in scuro punzonata. La loro combinazione genera la filigrana in chiaroscuro punzonata o, detta anche modellata, per riprodurre sulla carta immagini di stemmi, ritratti ed altro con ombreggiature chiaroscurali di gradevolissimo effetto.

La filigrana in scuro punzonata, inoltre, può essere accompagnata da una filigrana in chiaro ri­portata, per una carta che, osservata in controluce, produce un effetto “in scuro”, ottenuto punzonando la tela, ed un effetto “in chiaro”, ottenuto con filo metallico cucito sulla tela.

Il punzone può essere di diversa fattura: legno, bronzo o rame. Il punzone in legno è realizzato scolpendo l’immagine in “positivo” sulla superfice di una tavo­letta di legno duro (noce, ciliegio, bosso). Ponendo sopra il punzone, così prepara­to, la tela preventivamente ricotta, ed eseguendo con attenzione la “battitura” dei due elementi, con apposito martello e cuscinetto di feltro, l’immagine si riproduce sulla tela.

Quello in bronzo è ottenuto con la tecnica di fusione degli scultori, detta della “cera persa”. Consiste nell’incidere in controluce una lastra di cera. L’incisore asportando la cera con appositi bulini, crea piani e tratti più o meno elevati determinando così tutte le minime sfumature che compongono l’immagine.

Una volta completata la fase dell’incisione, la cera viene rivestita uniformemente di un sottile strato di materiale terroso refrattario formando la cosiddetta “tona­ca”. Esposta ad una temperatura di poco superiore a quella della fusione, la cera si liquefò ed esce dall’involucro attraverso uno o più fori praticati nella tonaca. In questa, opportunamente rinforzata, si effettua una colata di bronzo fuso che poi raffreddato costituisce il punzone per il trasferimento dell’immagine sulla tela. Sempre in bronzo è il punzone realizzato per fusione eseguita effettuando un “cal­co” in gesso sulla cera incisa; con esso si prepara una forma di fusione ottenendo così il primo punzone in bronzo. Eseguendo su questo un secondo calco in gesso ed usando lo stesso procedimento si ottiene il “contro-punzone”. In questo caso la tela viene compressa tra il punzone (positivo) e contro-punzone (negativo) con l’impiego di un’apposita pressa e l’immagine viene, così, trasferita sulla tela.

Ugualmente avviene per il punzone in rame, risultato del processo elettrochimico di galvanoplastica. Il punto di partenza è l’incisione dell’immagine da riprodurre in filigrana su una lastra di cera. L’incisore, con grandi doti artistiche, togliendo più o meno cera, riproduce l’immagine con tutti gli effetti chiaroscurali che la caratterizzano.

La lastra incisa viene ricoperta di un sottile strato di grafite per renderla conduttrice elettrica ed immersa, insieme ad un blocco di rame grezzo, nel bagno galvanico (vasca) composto da acqua distillata, solfato di rame e acido solforico, tutto in soluzione. Al fine di attivare il processo elettrochimico di galvanoplastica (il passaggio di corrente), il blocco di rame grezzo viene legato con del filo di rame all’anodo (polo positivo) e la lastra di cera incisa – sulla quale viene effettuata preventivamente, una “ferratura” di rame (cioè una cucitura con filo di rame per creare continuità elettrica) – al catodo (polo negativo). A questo punto, con il pas­saggio di corrente, il blocco di rame si scinde in molecole finissime che si vanno a depositare sulla cera, creando, dopo circa 3/4 ore, una sottile lastra di rame, chiamata “pellicola a perdere” di 2/3 decimi. Questa simula lo spessore della tela (della forma) per “ammorbidire” la modellazione del punzone positivo e negativo, affinché, tra i due, si crei un vuoto che eviti la rottura della tela: infatti, se i due punzoni fossero perfettamente coincidenti, durante la fase di pressatura, potreb­bero danneggiarla.

La pellicola – ancora unita alla cera – viene ricoperta, a sua volta, di cera vergine diluita con un solvente e cosparsa di grafite per renderla conduttrice elettrica. Immersa nel bagno galvanico, con la stessa procedura, su di essa vanno a depositarsi finissime molecole di rame. Tale processo va avanti per 5/6 giorni fino a creare sulla cera una lastra di rame dello spessore di 2/3 millimetri: il punzone positivo. Quest’ultimo viene estratto dal bagno galvanico e, senza manomettere la “pellicola a perdere”, ripulito della cera che si rompe e va persa.

La pellicola, ancora attaccata al punzone, viene nuovamente ricoperta di cera vergine diluita con un solvente, cosparsa di grafite ed immersa nel bagno galvanico, al fine di ottenere il punzone negativo (o contro-punzone). Effettuata questa operazione si procede a staccare delicatamente punzone positivo, negativo e pellicola.

La pellicola, se rimasta intatta, viene conservata e una volta resa più robu­sta mediante un intelaiatura o cornice di plastica, si userà per riprodurre altre copie di punzoni.

Sul retro del punzone positivo e negativo ottenuti, viene eseguita una fu­sione di piombo, dello spessore di circa 10 millimetri al fine di renderli resistenti alla pressione meccanica a cui saranno sottoposti per imprimere e trasferire, in negativo, l’immagine sulla tela (per mezzo di una pressa punzonatrice).

Unendo telaio, tela e coscio, la forma è completa e pronta per essere utiliz­zata dal lavorente.

 

Glossario dei termini tecnici

Carta velina: carta realizzata con una forma velina. A differenza della carta vergata, in controluce, non si osserva l’impronta della vergatura, ma si nota una speratura, come se fosse un vetro smerigliato.

Carta vergata: carta realizzata con una forma vergata. Le verghe/vergelle e le catenelle lasciano sulla superfice della carta un’impronta ben visibile in traspa­renza come se fosse una filigrana.

Cascio/casso: cornice di legno non fissa, appoggiata sul perimetro del telaio per consentire la tenuta dell’impasto fibroso/cellulosa e delimitare le dimensioni del foglio. Le dimensioni interne del cascio/casso (lato lungo, lato corto, spessore) corrispondono al formato del foglio (ricavo foglio) e lo spessore interno varia in base alla grammatura del foglio che si vuole ottenere.

Catenelle/filoni/trecciole (tela vergata): fili di acciaio, bronzo fosforoso o ottone intrecciati e legati ai colonnetti precedentemente forati (per far passare il filo) per fissare le verghe /vergelle al telaio.

Colonetti: listelli conici di legno douglas o cirmolo (pino cembro) applicati al te­laio di legno, precedentemente forati per far passare un filo di acciaio e legare la tela vergata, o la tela di fondo, al telaio di legno.

Feltrazione: fenomeno per cui le fibre, in presenza di acqua, si intrecciano e si legano tra loro, formando un contesto fibroso resistente a varie sollecitazioni.

Fili in ordito al cm (tela velina): numero di fili dell’ordito che compongono il tessuto in 1 cm.

Fili in trama al cm (tela velina): numero di fili della trama che compongono il tessuto in 1 cm.

Filigrana: (termine proveniente dall’oreficeria) un sottile filo metallico di ar­gentana, rame o bronzo modellato a mano con utensili da orafo, cucito a mano o saldato a stagno sulla tela della forma-, o modellazione della tela velina, impressa preventivamente attraverso un punzone. Con lo stesso nome si identifica il “se­gno” o “marca”, lasciato sul foglio di carta dal filo metallico suddetto durante la fase di feltrazione, più chiaro o più scuro, visibile osservando il foglio in controlu­ce. La filigrana può essere un disegno distintivo di personalizzazione della carta (filigrane figurative, iscrizioni, stemmi, emblemi o marchi, etc.). Esistono varie tipologie di filigrane: filigrana in chiaro riportata, filigrana in chiaro punzonata, filigrana in scuro punzonata, filigrana in chiaroscuro punzonata e filigrana in scuro con chiaro riportato.

Filigrana in chiaro punzonata (tela velina): filigrana in rilievo rispetto alla superfice di lavorazione della forma, impressa attraverso un punzone sulla tela velina. In quel punto, durante la fase di feltrazione, si deposita meno impasto di fibre/cellulosa (diminuendo lo spessore della carta), creando un effetto “in chiaro” sulla carta ben visibile in controluce (filigrana in chiaro, appunto). Rispetto alla filigrana in chiaro riportata l’effetto “in chiaro” è meno definito.

Filigrana in chiaro riportata (tela velina e tela vergata): filigrana realizzata con filo metallico di argentana, rame o bronzo, modellato a mano con pinze da orafo, oppure galvanicamente (tramite il processo elettrochimico di galvanopla­stica), cucita manualmente o saldata a stagno sulla tela. Filigrana in rilievo ri­spetto alla superfice di lavorazione. In corrispondenza del filo metallico, durante la fase di feltrazione, si deposita meno impasto fibroso/cellulosa creando un effet­to “in chiaro” sulla carta ben visibile in controluce (filigrana in chiaro, appunto). Rispetto alla filigrana in chiaro punzonata l’effetto “in chiaro” è ben definito.

Filigrana in chiaro-scuro punzonata (tela velina): combinazione di filigrane (v. filigrana in chiaro punzonata e filigrana in scuro punzonata) impresse sulla tela attraverso un punzone. La carta che ne deriva, osservata in controluce, pro­duce un effetto in chiaro-scuro, che permette di riprodurre figure ricche di parti­colari come ritratti, paesaggi, ecc.

Filigrana in scuro punzonata con chiaro riportato (tela velina): combina­zione di filigrana in scuro punzonata e filigrana in chiaro riportato. La carta che ne deriva, osservata in controluce, produce un effetto “in scuro” (ottenuto pun­zonando la tela) ed un effetto “in chiaro” (ottenuto con filo metallico cucito sulla tela).

Filigrana in scuro punzonata (tela velina): filigrana in bassorilievo impressa attraverso un punzone sulla tela velina. In quel punto, durante la fase di feltra­zione, si deposita più impasto fibroso/cellulosa (aumentando lo spessore della car­ta), creando un effetto “in scuro” sulla carta ben visibile in controluce (filigrana in scuro, appunto).

Filo ad acqua: filo di rame o ottone trafilato cucito manualmente o saldato a stagno sulla tela per delimitare il formato della carta e produrre fogli multipli. Ove è posizionato il filo ad acqua, durante la fase di feltrazione, si deposita meno impasto fibroso/cellulosa, diminuendo in quel punto lo spessore delle carta per facilitare lo strappo del foglio e ricavarne fogli multipli.

Forma: strumento necessario alla realizzazione di fogli di carta, costituito prin­cipalmente da telaio, tela e cascio. La forma per carta a mano è composta da una tela metallica (vergata o velina) fissata con chiodi di rame o ottone su un telaio rettangolare di legno di varie dimensioni a cui sono applicati i colonnetti. La su- perfice di lavoro è delimitata da una cornice di legno denominata cascio o casso, non fissa ma appoggiata sul perimetro della tela per consentire la tenuta dell’im­pasto fibroso/cellulosa. Esistono due tipologie di forma: vergata e velina. La forma vergata è realizzata con una tela vergata e una tela di fondo in bronzo fosforoso o ottone (non sempre presente), mentre la forma velina è costituita da una tela velina, una sottotela, un teloncino forato, una tela di fondo in bronzo fosforoso o ottone.

Grammatura: peso della carta espresso in grammi per metro quadro (g/m2).

Impasto: insieme delle materie fibrose e di tutte le sostanze (cariche, colle, colo­ri, additivi vari, ecc.) che compongono la carta.

Lavorente: colui che immerge la forma nel tino contenente l’impasto fibroso/cel­lulosa, e ne estrae una quantità che distribuisce con scuotimenti rapidi al fine di ottenere una feltrazione uniforme. Appena il foglio si è formato, il lavorente passa la forma al ponitore.

Piastratura: lastra di ottone di spessore di 2/3 decimi fissata tramite chiodi di rame o ottone sul telaio con lo scopo di proteggere il legno.

Ponitore: colui che adagia la forma sul feltro determinando il distacco del foglio dalla tela.

Portata (tela vergata): distanza tra le catenelle/filoni/trecciole.

Punzonatura: è l’atto di imprimere un segno, un’immagine, ecc. sulla superfice della tela velina attraverso la pressione o la percussione di uno strumento detto punzone (in legno, bronzo o rame).

Punzone: strumento in legno, bronzo o rame utilizzato per la punzonatura della tela velina.

Ricavo fogli multipli (lato lungo, lato corto, spessore): fogli multipli ottenuti con l’applicazione di fili ad acqua sulla tela o con l’utilizzo di forme da due fogli o tre fogli, realizzate con un particolare cascio che presenta uno o più assi divisori in legno.

Ricavo foglio (lato lungo, lato corto, spessore): formato del foglio ottenuto in base alle dimensioni interne del cascio/casso.

Sottotela di rinforzo (tela velina): sostiene la punzonatura della tela velina superiore (secondo strato di telcì).

Sottotelaio/Regoli: listelli di legno douglas o cirmolo (pino cembro) applicati tramite chiodi di rame o ottone sul fondo del telaio, necessari, non appena il foglio si è formato, allo scorrimento della forma sulla tavola di legno (tavola di scorrimento) posizionata sopra al tino per facilitare il passaggio tra il lavorente e il ponitore.

Tela di fondo (tela velina o vergata): tela che serve a sostenere i vari strati di tele che compongono la forma velina (quarto strato di tela). La tela di fondo, in alcuni casi, è presente anche a sostegno della tela vergata.

Tela velina: tela tessuta sottile e flessibile – intreccio di fili in trama e fili in or­dito in bronzo fosforoso o ottone perpendicolari tra di loro – fissata, tramite chiodi di rame o ottone, sul telaio di legno. La tela velina è sostenuta da una serie di strati di tele, cuciti tra loro attraverso un filo finissimo di acciaio: una sottotela di rinforzo (secondo strato), un teloncino forato (terzo strato), una tela di fondo (quarto ed ultimo strato).

Tela velina o vergata semplice: tela metallica velina o vergata priva di filigra­na.

Tela vergata: tela formata da verghe o vergelle in bronzo fosforoso o ottone di­stanziate tra loro ed intrecciate con filo metallico catenella o trecciola. La tela così preparata viene fissata, tramite chiodi in rame o ottone, sul un telaio di legno. La tela vergata, in alcuni casi, è sostenuta da una tela di fondo.

Telaio: cornice esterna, di dimensioni variabili (lato lungo, lato corto, profondi­tà), a cui vengono applicati i colonnetti, in douglas o cirmolo (pino cembro) resi­stenti all’acqua e agli additivi chimici interni all’impasto. Sul telaio viene succes­sivamente fissata, con chiodi di rame o ottone, la tela velina o vergata.

Teloncino forato (tela velina): “alloggia” la profondità della punzonatura realiz­zata sulla tela velina, al fine di conservare i piani originali della filigrana (terzo strato di tela).

Tenitore: colui che aiuta il ponitore nel determinare il distacco del foglio dalla tela.

Tela: fili metallici in bronzo fosforoso o ottone fissati su un telaio di legno tramite chiodi in rame o ottone.

Vergelle ogni 2 cm (tela vergata): numero di vergelle in un campo di 2 cm.

Verghe/vergelle (tela vergata): fili in ottone o bronzo fosforoso di diametri vari fissati tra loro attraverso le catenelle.

L’articolo completo delle note esplicative è stato pubblicato su AIC Magazine Anno II, N.3, maggio 2019

L’articolo, il glossario e le foto, sono già state pubblicate nel volume “LA FORMA” Formisti e cartai nella storia della carta occidentale, Tomo terzo de L’era del segno.
A cura di Giancarlo Castagnari e pubblicato dalla Fondazione Giancalo Fedregoni ISTOCARTA nel 2015.

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