(di Luigi Lanfossi) Nel 1967 Fabrizio De André cantava: “ …dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…”, a riprova di questo la carta, pur essendo stato il risultato di lavorazioni di materie prime di scarso valore quali gli stracci, è stata un elemento fondamentale per lo sviluppo della cultura e della civiltà.
E’ riconosciuto universalmente che la carta sia nata in Cina e la sua tecnica di produzione sia stata perfezionata nell’anno 105 ad opera di Ts’ai Lun, gran dignitario di corte.
In Cina si fabbricavano svariati tipi di carta, denominata carta bambagina (con la canapa, con steli teneri di bambù, con la scorza del gelso, con germogli di giunco, con muschio e licheni, con paglia di grano e riso, coi bozzoli del baco da seta…), ma predominava quella fatta con stracci di canapa, lino e cotone.
Anche le banconote sono apparse per la prima volta in Cina, Marco Polo (1254-1324) ne Il Milione descrisse come si produceva la cartamoneta durante il regno di Kublai Khan:
“Ora dovete sapere che il Grande Sire [il Gran Khan] fa fare una moneta come io vi spiegherò. Egli fa prendere la corteccia di un albero chiamato gelso, che è l’albero le cui foglie sono mangiate dai bachi da seta, e estraggono la pellicola interna che si trova tra corteccia e fusto dell’albero e da quella pellicola fa creare carte come il cotone tutte nere. Quando queste carte sono pronte, egli le divide in parti più piccole che per valore sono comparabili a una moneta da un tornese piccolo, l’altra vale un tornese, e l’altra vale un grosso d’argento di Venezia, l’altra un mezzo, l’altra due grossi, l’altra cinque, l’altra dieci e l’altra un bisante d’oro, l’alta due, l’altra tre e così via fino a dieci bisanti. Tutte queste carte erano caratterizzate dal sigillo del Gran Khan, e ne hanno prodotte così tante da corrispondere al valore del tesoro imperiale. E quando queste carte sono pronte, egli le fa usare in tutti i pagamenti e le spese in tutte le province e i regni e le terre dove egli è il nostro sovrano; e nessuno osa rifiutarle, per paura della morte.”…

L’articolo continua su “AIC Magazine” Anno I, Numero 2

 

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